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giovedì 4 ottobre 2012

San Francesco d'Assisi

San Francesco ha veramente realizzato il Vangelo che la liturgia ci fa proclamare nella sua festa: ha ricevuto la rivelazione di Gesù con il cuore semplice di un bambino, prendendo alla lettera tutte le parole di Gesù. Ascoltando il passo evangelico nel quale Gesù invia i suoi discepoli ad annunciare il regno, ha sentite rivolte a sé quelle parole, che diventarono la regola della sua vita. Ed anche a quelli che lo seguirono egli non voleva dare altra regola se non le parole del Vangelo, perché per lui tutto era contenuto nel rapporto con Gesù, nel suo amore. Le stimmate che ricevette verso la fine della sua vita sono proprio il segno di questo intensissimo rapporto che lo identificava con Cristo. Francesco fu sempre piccolo, volle rimanere piccolo davanti a Dio e non accettò neppure il sacerdozio per rimanere un semplice fratello, il più piccolo di tutti, per amore del Signore.
Per lui si sono realizzate in pieno le parole di Gesù: "il mio giogo è dolce e il mio carico leggero". Quanta gioia nell'anima di Francesco, povero di tutto e ricco di tutto, che accoglieva tutte le creature con cuore di fratello, che nell'amore del Signore sentiva dolci anche le pene!
Anche per noi il giogo del Signore sarà dolce, se lo riceviamo dalle sue mani.
Nella lettera ai Galati san Paolo ci dà la possibilità di capire meglio alcuni aspetti di questo giogo con due espressioni che sembrano contradditorie ma sono complementari. La prima è: "Portate i pesi gli uni degli altri, così adempirete la legge di Cristo". I pesi degli altri: questo è il giogo del Signore. San Francesco l'aveva capito agli inizi della sua conversione. Raccontò alla fine della vita: "Essendo io in peccato, troppo amaro mi sembrava vedere i lebbrosi, ma lo stesso Signore mi condusse fra loro ed io esercitai misericordia con loro". Ecco il giogo, che consiste nel caricarsi del peso degli altri, anche se farlo ci sembra duro. E continua: "E partendomene, ciò che mi era apparso amaro mi fu convertito in dolcezza nell'anima e nel corpo". Per chi se ne è veramente caricato, il giogo diventa dolce.
Poche righe più avanti troviamo la seconda frase di san Paolo: "Ciascuno porterà il proprio fardello". Si direbbe in contrasto con la prima, ma nel contesto il significato è chiarissimo: si tratta di non giudicare gli altri, di essere pieni di comprensione per tutti, di non imporre agli altri i nostri modi di vedere e di fare, di guardare ai propri difetti e di non prendere occasione dai difetti altrui per imporre alle persone pesi che non sono secondo il pensiero del Signore. San Francesco si preoccupava di questo e nella sua regola scrive: "Non ritenersi primo fra i fratelli": essere umili; "Non si considerino mai come padroni": non imporre pesi agli altri; e aggiunge: "Chi digiuna non giudichi chi mangia". E la delicatezza della carità, che se vede il fardello degli altri non li critica, non li giudica, ma piuttosto li aiuta.
Prendiamo così su di noi il giogo di Cristo. Carichiamoci dei pesi degli altri e non pesiamo su di loro con critiche e giudizi privi di misericordia, perché possiamo conoscere meglio il Figlio di Dio che è morto per noi, e in lui conoscere il Padre che è nei cieli, con la stessa gioia di san Francesco.
 

martedì 2 ottobre 2012

Santi Angeli Custodi 2 Ottobre 2012

I testi liturgici ci invitano a riflettere sulla nostra relazione con Dio e a prendere coscienza che su di essa è fondata la vera fraternità.
La prima lettura, un passo dell'Esodo, parla dell'Angelo che il Signore manda davanti al suo popolo come protettore e come guida. "Dice il Signore: "Abbi rispetto della sua presenza, ascolta la sua voce ".
Subito queste parole suscitano il sentimento della presenza di Dio. Ma il contesto biblico chiarisce che la presenza dell'Angelo indica che la relazione del popolo con Dio è ancora imperfetta, deve progredire. Dio non può rivelarsi pienamente, non può mettere il popolo in relazione immediata con se stesso perché è un popolo peccatore, ribelle, che si trova soltanto all'inizio del lungo cammino che lo condurrà alla Terra promessa, alla diretta presenza di Dio. L'Angelo è come un intermediario, colui che fa camminare verso Dio e che contemporaneamente, in un certo senso, protegge dalla sua terribile presenza, fino a quando il popolo sarà in grado di reggere di fronte alla sua maestà.
L'Angelo ci fa ascoltare la voce di Dio; secondo la Bibbia la sua presenza accanto a noi non ha altro scopo che di metterci in relazione con lui. E Dio dice: "Ascolta la sua voce, non ribellarti a lui; egli non ti perdonerebbe, perché il mio nome è in lui".
Se siamo docili a questa voce interiore, che è la voce stessa di Dio, siamo condotti progressivamente a una unione profonda con il Signore, simboleggiata nella Bibbia dalla entrata nella Terra promessa, il paese dove scorrono latte e miele, dove Dio prepara tutti i beni della salvezza.
Anche il Vangelo di oggi parla del rapporto con Dio: "Guardatevi dal disprezzare uno solo di questi piccoli, perché vi dico che i loro angeli nel cielo vedono sempre la faccia del Padre mio che è nei cieli".
Gesù stesso ci dice come dobbiamo rapportarci gli uni agli altri e che, per rispettare veramente le persone, per avere rapporti cristiani, dobbiamo anzitutto pensare al loro rapporto con Dio. Avvicinando qualsiasi persona dobbiamo pensare che Dio l'ama, che ha dei progetti su di lei, che l'aiuta a corrispondere a questi progetti. Se ci pensiamo seriamente, il nostro atteggiamento sarà molto più positivo: avremo più pazienza, più comprensione e soprattutto più amore.
Uno dei primi Gesuiti, il beato Pietro Fabre, che viaggiava molto e doveva incontrare tante persone, avvicinare tante autorità nella sua lotta contro l'eresia protestante, aveva molta devozione agli Angeli. Quando passava nelle città, quando si preparava ad incontrare qualcuno, pregava l'Angelo custode di queste città, di queste persone e otteneva grazie mirabili. Si era messo alla presenza di Dio e questa presenza irraggiava da lui sugli altri. Se ci ispiriamo a questo esempio, ogni nostro rapporto splenderà davvero della luce del Signore, nonostante noi siamo cosi deboli e imperfetti, e camminererno sempre più, con la sua grazia, verso la sua presenza.
 

domenica 11 marzo 2012

III Domenica di Quaresima

Una visita sul sito del Tempio nella Gerusalemme attuale dà un’idea della sacralità del luogo agli occhi del popolo ebreo. Ciò doveva essere ancora più sensibile quando il tempio era ancora intatto e vi si recavano, per le grandi feste, gli Ebrei della Palestina e del mondo intero.
L’uso delle offerte al tempio dava la garanzia che la gente acquistasse solo quanto era permesso dalla legge. L’incidente riferito nel Vangelo di oggi dà l’impressione che all’interno del tempio stesso si potevano acquistare le offerte e anche altre cose.
Come il salmista, Cristo è divorato dallo “zelo per la casa di Dio” (Sal 068,10). Quando gli Ebrei chiedono a Gesù in nome di quale autorità abbia agito, egli fa allusione alla risurrezione. All’epoca ciò dovette sembrare quasi blasfemo. Si trova in seguito questo commento: “Molti credettero nel suo nome. Gesù però non si confidava con loro, perché conosceva tutti”. Noi dobbiamo sempre provare il bisogno di fare penitenza, di conoscerci come Dio ci conosce.
Il messaggio che la Chiesa ha predicato fin dall’inizio è quello di Gesù Cristo crocifisso e risorto. Tutte le funzioni della Quaresima tendono alla celebrazione del mistero pasquale. Che visione straordinaria dell’umanità vi si trova! Dio ha mandato suo Figlio perché il mondo fosse riconciliato con lui, per farci rinascere ad una nuova vita in lui. Eppure, a volte, noi accogliamo tutto ciò con eccessiva disinvoltura. Proprio come per i mercati del tempio, a volte la religione ha per noi un valore che ha poco a vedere con la gloria di Dio o la santità alla quale siamo chiamati.





Omelia (don Roberto Rossi)


Gesù, tempio di Dio

Il nostro cammino quaresimale procede. Dopo essere stati con Gesù nel deserto, scoprendo che anche lui si è confrontato con le tentazioni che ci minacciano e con il potere del male che ci porta lontano da Dio; dopo essere stati con Lui sul monte della trasfigurazione, sentendo la voce della nube che lo confermava come il Figlio amato e ci ordinava di ascoltarlo mentre indica il cammino dell'offerta di sé per giungere alla vita piena, oggi il Vangelo di Giovanni ci fa incontrare Gesù nel tempio di Gerusalemme, mentre compie uno dei gesti più sconcertanti della sua vita. Ed è significativo che tutte e quattro i vangeli riportino questo episodio; questo nei vangeli avviene soltanto per gli ultimi giorni della vita di Gesù.
Quale aspetto del mistero di Gesù ci aiuta a penetrare e meditare questa pagina di Vangelo? Una prima spontanea reazione è quella di pensare all'umanità di Gesù, che - come ciascuno di noi - perde la pazienza e si arrabbia quando si confronta con qualcosa che non corrisponde con il suo modo di vedere e con le sue aspettative.
Pur senza negare questo aspetto dell'umanità di Gesù, dobbiamo fare come i discepoli, che dopo la resurrezione si sono ricordati del gesto di quel giorno nel tempio e lo hanno compreso alla luce dei salmi: "lo zelo per la tua casa mi divorerà" (Salmo 69, 10). Anche noi, dobbiamo vedere in questo gesto una luce che illumina tutto il mistero, la vita di Gesù. La sua vita fu realmente "divorata" dallo zelo per il Padre; Egli è vissuto profondamente obbediente al Padre, fino al punto di dare tutto se stesso per realizzare il suo progetto. Nel dialogo tra Gesù e i giudei che gli chiedono conto del gesto che ha compiuto, Gesù risponde identificando il tempio con il suo corpo: distruggetelo e io lo ricostruirò in tre giorni. È normale che i giudei non l'abbiano capito, ma per noi cristiani che ascoltiamo queste parole dopo la Risurrezione, il messaggio è forte e chiaro. Ciò che prima si faceva attraverso il tempio, attraverso i riti sacrificali (per i quali era necessario tutto il sistema di vendita di animali e di cambio dei soldi), cioè la ricerca della comunione con Dio e la richiesta di perdono dei peccati, ora lo si fa attraverso il corpo di Gesù, che nella morte è stato distrutto e nella risurrezione è stato glorificato. Ora sappiamo che la salvezza è in Gesù.
Ciò significa che i sacrifici e i riti sono stati semplificati (l'unico rito dei cristiani è la messa, il sacrificio di Gesù) e sono stati resi accessibili a tutti in ogni momento. Infatti anche noi possiamo lasciarci "divorare dallo zelo" per la casa del Signore, cioè possiamo vivere orientati dalla volontà del Signore, prendendo Lui come centro di ogni nostra scelta, azione, progetto.
La legge di Dio, che la prima lettura ricorda raccontandoci le dieci parole dei comandamenti, ha questo significato e questa finalità: orientare i passi dell'uomo nella volontà di Dio. Gesù non ha abolito i comandamenti, ma ne ha mostrato il senso e ci ha fatto vedere che non si tratta di semplici precetti da osservare scrupolosamente per il timore di incorrere in punizioni, ma di fari accesi da Dio per il suo popolo, che cammina nell'oscurità e desidera percorrere il cammino giusto, per la realizzazione della propria vita, fino alla salvezza nell'eternità.

domenica 4 marzo 2012

II Domenica di Quaresima 04-03-2012

La trasfigurazione occupava un posto importante nella vita e nell’insegnamento della Chiesa primitiva. Ne sono testimonianze le narrazioni dettagliate dei Vangeli e il riferimento presente nella seconda lettera di Pietro (2Pt 1,16-18).
Per i tre apostoli il velo era caduto: essi stessi avevano visto ed udito. Proprio questi tre apostoli sarebbero stati, più tardi, al Getsemani, testimoni della sofferenza di nostro Signore.
L’Incarnazione è al centro della dottrina cristiana. Possono esserci molti modi di rispondere a Gesù, ma per la Chiesa uno solo è accettabile. Gesù è il Figlio Unigenito del Padre, Dio da Dio, Luce da Luce, Dio vero da Dio vero. La vita cristiana è una contemplazione continua di Gesù Cristo. Nessuna saggezza umana, nessun sapere possono penetrare il mistero della rivelazione. Solo nella preghiera possiamo tendere a Cristo e cominciare a conoscerlo.
“È bello per noi stare qui”, esclama Pietro, il quale “non sapeva infatti che cosa dire, poiché erano stati presi dallo spavento”. La fede pone a tacere la paura, soprattutto la paura di aprire la nostra vita a Cristo, senza condizioni. Tale paura, che nasce spesso dall’eccessivo attaccamento ai beni temporali e dall’ambizione, può impedirci di sentire la voce di Cristo che ci è trasmessa nella Chiesa.





Omelia (don Luca Orlando Russo)


«Questi è il Figlio mio, l'amato: ascoltatelo!»

Racconta l'evangelista Marco, nel brano che precede il nostro, che Gesù cominciò a parlare apertamente delle sue sofferenze, della sua passione ai suoi discepoli per chiarire la sua vera identità: è il Messia, sì, come ha confessato Pietro per ispirazione del Padre, ma un Messia che va verso la morte, conforme all'immagine del servo sofferente.
Il discorso che Gesù, senza peli sulla lingua, aveva fatto ai discepoli a Cesarea di Filippo, senza esitare a chiamare Pietro "Satana", aveva creato una vera e propria crisi all'interno della comunità dei Dodici, critici nei confronti di Gesù.
L'episodio della trasfigurazione ha un motivo ben preciso nelle intenzioni di Dio: confermare Gesù e i discepoli che la via intrapresa è quella giusta. Non è un caso, infatti, che sul monte, dove Gesù si reca per chiedere lumi al Padre nella preghiera, fanno la loro comparsa due personaggi che hanno attraversato parimenti la loro bella crisi per rimanere fedeli alla Parola di Dio, che li aveva chiamati a fare scelte non facili, ma soprattutto incomprensibili alla logica umana.
Elia e Mosè sanno bene che la via di Dio non è quella degli uomini. Dio invita l'uomo a camminare per vie che non incontrano il favore della ragione umana, illuminata da un messaggio fuorviante, dietro il quale vi è l'opera nascosta, ma, ahimè!, spesso efficace di Satana. Pietro e i Dodici non ci hanno messo molto a lasciarsi ingannare dal nemico di Dio e degli uomini. Anche loro sono convinti che un Messia che si rispetti non può andare verso il fallimento, l'insuccesso e la morte. A Colui che è depositario dei doni di Dio, tale era il Messia, non si addice, secondo la logica degli uomini, la sconfitta. Se Dio è l'Onnipotente, Colui che annientato il potere del Faraone, re d'Egitto, il Messia, il suo braccio destro, non può essere da meno. I discepoli si aspettano una irruzione potente del Regno di Dio; e, del resto, cosa era accaduto fino ad ora?
Gesù non aveva fin'ora dimostrato, con la parola e con le opere, di essere così potente da sottomettere a sé chiunque aveva tentato di contrastarlo? Non c'era ombra di dubbio a Gerusalemme, la città di Dio, Gesù avrebbe manifestato a tutti la sua identità e, a partire da quel momento in poi, sarebbe stato un cammino in discesa. Ma sul più bello Gesù cambia, comincia a parlare solo di fallimento e di insuccesso.
Gesù sul monte è in una luce irradiante, il candore e la luce sfolgorante della sua persona rievocano le visioni del profeta Daniele, la gloria di Dio, nel mentre la voce del Padre: «Questi è il Figlio mio, l'amato: ascoltatelo!», gli conferisce autorità.
Allora, qual è il senso della trasfigurazione? Imprimere nella mente dei discepoli un'immagine di Gesù gloriosa, potente che potesse mostrare che nella povertà, nella sofferenza, nella passione Dio realizza il suo progetto di salvezza, anche se ciò appare umanamente impossibile.
Come reagiscono gli apostoli? Pietro, ancora una volta esce fuori con una risposta tanto umana: "Facciamo tre capanne e restiamo qui". Pietro cede alla tentazione di chi vorrebbe fermare la vita ai momenti, forse anche belli e straordinari, nei quali ci vengono fatte delle promesse per poi rifiutare di vivere tutto il cammino della vita umana che conduce al dono promesso.
Buona domenica e buona settimana!

domenica 26 febbraio 2012

I Domenica di Quaresima 26-02-2012

Il Vangelo di Marco comincia con una semplice affermazione: “Inizio del Vangelo di Gesù Cristo, Figlio di Dio”.
Giovanni Battista, che aveva annunciato la sua venuta come imminente, battezzò Gesù nel Giordano e in quell’occasione lo Spirito diede testimonianza di Gesù. Marco accenna soltanto al periodo nel deserto e alla tentazione. È il preludio all’inizio del ministero pubblico di nostro Signore. Il suo primo richiamo, che ci viene ripetuto questa domenica, è: “Convertitevi e credete al vangelo”. Egli comincia proprio da quello che era stato il punto centrale dell’insegnamento di Giovanni Battista.
La Quaresima è soprattutto un periodo di riflessione sui misteri della nostra redenzione, al cui centro sono l’insegnamento e la persona di Gesù Cristo. Il Salvatore ha assunto forma umana, cioè quella che è la nostra condizione, e non è nemmeno stato risparmiato dall’esperienza della tentazione. Nella sua natura umana, Gesù ha vissuto in prima persona cosa significhi respingere Satana e porre al primo posto le cose divine. Il nostro Signore e il nostro Dio è in tutto nostra guida e modello.
Cercare di conoscere Cristo significa anche prendere coscienza di quel nostro bisogno di cambiamento di vita che chiamiamo “pentimento”. In particolare è mediante la liturgia della Chiesa che ci avviciniamo a Cristo e facciamo esperienza della sua presenza in mezzo a noi.
Nella liturgia, diventiamo “uno” con Cristo nel mistero grazie al quale egli ha riscattato il mondo.



Omelia (don Luigi Trapelli)

Il tempo della conversione

E' iniziato il tempo forte della Quaresima, tempo di mutamento e di conversione.
Il breve testo di Marco, ci presenta in maniera sobria questo tempo.
Gesù è spinto dallo Spirito nel deserto, dove rimane quaranta giorni tentato da Satana.
E' lo Spirito a mandare Gesù proprio verso il suo avversario, colui che divide, Satana.
Sembra singolare questo fatto, però se analizziamo la nostra vita, è veritiero.
Noi stiamo bene solo dopo aver superato una crisi.
Quando sperimentiamo la presenza del male in noi, sappiamo apprezzare il bene maggiore che vince il male.
Solo dopo essere stati tentati ( e lo siamo sempre!), scopriamo la bellezza dell'incontro con Gesù.
Lo Spirito ci spinge verso il deserto, ossia il luogo della solitudine, del silenzio, dell'incontro con le bestie selvatiche.
Nel deserto si è inermi, si è soli, non ci si può aggrappare a nessuno, e quindi possiamo contare solo sulle nostre forze.
E' il luogo delle scelte, dell'interiorità, ma anche il luogo nel quale le tentazioni crescono.
Si è soli con se stessi.
E così nascono le paure, le ansie.
E' in compagnia delle fiere, delle bestie selvatiche, che rappresentano non solo degli animali reali, ma anche le potenze politiche, economiche di allora.
Le bestie selvatiche rappresentano bene una tentazione subdola: quella del potere.
Suoi compagni sono gli angeli.
Gli angeli sono tutte quelle persone che ricordiamo nei momenti belli o brutti della nostra vita.
Sono le persone che vorremmo chiamare quando stiamo male, che sentiamo vicine anche se siamo distanti.
Nei momenti della prova, ci aggrappiamo a queste persone.
Famigliari, parenti, amici, consacrati, insomma persone che hanno inciso nel nostro percorso di vita.
Dopo questi quaranta giorni, Gesù comincia la sua missione.
Non possiamo solo stare nel deserto, non possiamo solo vivere nella solitudine.
Gesù va nella Galilea, quel luogo singolare, particolare, in cui convivevano culture diverse, soprattutto religioni diverse.
La Galilea è un luogo difficile, eppure Gesù parte proprio da questo luogo per annunciare a tutti il Vangelo.
E' facile annunciare il Vangelo in ambienti facili.
E' entusiasmante fare un annuncio laddove la gente pensa ad altro o vive realtà religiose particolari.
In fondo, la Galilea è proprio il complesso mondo di oggi.
Il primo annuncio del Vangelo mette al centro la conversione.
Senza conversione non possiamo fare nulla.
Una vera esperienza cristiana poggia sul cambiamento del proprio stile di vita.
Nasce da un incontro capace di scaldare il nostro cuore.
Convertirci perché la fede ci possa rendere persone diverse.
Al centro della nostra esperienza sta il Vangelo.
Ci si converte per credere al Vangelo o meglio la conversione è lo stesso mettere in atto il Vangelo.
Ritornando al Vangelo puro da attuare.
Gesù è spinto dallo Spirito nel deserto per essere tentato per quaranta giorni.
Tale periodo di prova, ma anche di cambiamento, lo spinge ad andare nel singolare luogo della Galilea per predicare un cammino di conversione.
La quaresima sia per tutti noi questo tempo.
Per maturare, per cambiare, per far silenzio, per fare scelte coraggiose, per diventare ancora di più noi stessi davanti a Dio che è in grado di scaldare i nostri cuori.

martedì 13 dicembre 2011

Santa Lucia, dal nome evocatore di luce, martirizzata probabilmente a Siracusa sotto Diocleziano (c. 304), fa parte delle sette donne menzionate nel Canone Romano. Il suo culto universalmente diffuso è già testimoniato dal sec. V. Un’antifona tratta dal racconto della sua passione la saluta come «sponsa Christi». La sua «deposizione» a Siracusa il 14 dicembre è ricordata dal martirologio geronimiano (sec. VI)


Omelia  (Monaci Benedettini Silvestrini)



n popolo umile e povero

Il servizio del Signore esige prontezza e coerenza. Nel brano evangelico ci viene presentato il caso di due figli di cui il primo aderisce subito alle richieste del padre per rinnegarle un momento dopo. L'altro invece, dopo un moto di protesta all'ordine ricevuto, esegue la volontà del padre. Alla domanda chi avesse eseguito la volontà del padre, i suoi interlocutori sono costretti dire: "L'ultimo", quello cioè che in primo momento si era rifiutato. Gesù fa subito la applicazione: "Alla voce di Giovanni voi non avete creduto, mentre i pubblicati e le prostitute hanno accolto la sua voce". Non è difficile trovarvi un'allusione ai futuri eventi della Chiesa. Il popolo ebreo rinnega Cristo al quale prestano fede i popoli pagani. Si verifica così il "guai" di Sofonìa della prima lettura, i guai contro le città ribelli. Non si tratta tanto di mura quanto di abitanti che non ascoltano la voce del Signore né accettano la correzione. Ma Dio è padrone e creatore dell'uomo. Egli sceglie chi vuole perché il suo nome sia glorificato. Volge però in modo particolare il suo sguardo al povero e all'umile che ricolmerà di ogni bene, anche in premio della sua fedeltà all'alleanza. Non sarebbe fuori posto una riflessione anche più personale. Noi, cristiani, siamo i chiamati a proclamare con la nostra fedeltà il nome del Signore. Quante volte però il nostro comportamento non s'addice alla nostra dignità di Figli di Dio. La nostra fede è frenata all'indifferenza e quindi vengono a mancare i frutti. Non sarà mai che popoli nuovi, pieni di fervore, magari dalla Cina, entrino nel regno di Dio e noi ne siamo cacciati a causa della nostra incoerenza e superficialità?

domenica 11 dicembre 2011

III DOMENICA DI AVVENTO 11-12-11

Il messaggero, annunciato nel vangelo di domenica scorsa, è descritto in modo più dettagliato dall’evangelista Giovanni. Egli ci ricorda, infatti, i dialoghi che Giovanni Battista ebbe con sacerdoti e leviti, venuti da Gerusalemme per interrogarlo. Era forse il Messia? No, rispose Giovanni Battista: “ Io sono voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, come disse il profeta Isaia ” (Gv 1,23).
Sant’Agostino commenta: “Giovanni Battista era una voce, ma in principio il Signore era il Verbo. Giovanni fu una voce per un certo tempo, ma Cristo, che in principio era il Verbo, è il Verbo per l’eternità” (Serm 293)
“ Egli - dice l’evangelista Giovanni - venne come testimone per rendere testimonianza alla luce, perché tutti credessero per mezzo di lui ”. Vi sentiamo un’eco del prologo: “Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo ” (Gv 1,9).
Anche noi dobbiamo essere suoi testimoni (Gv 15,27) e ciò, prima di tutto, nella santità delle nostre vite perché “ mi ha rivestito delle vesti di salvezza, mi ha avvolto con il manto della giustizia ” (Is 61,10).
 



Omelia (don Luciano Cantini)


Testimoniare la luce

Egli venne come testimone per dare testimonianza alla luce 
"la luce splende nelle tenebre e le tenebre non l'hanno vinta". Così il versetto precedente... se la luce splende ed è così evidente che le tenebre non l'hanno vinta, cosa significa "dare testimonianza" alla luce? La luce, come quella del sole e della luna, splende alta nel cielo e dà colore, forma e vita ad ogni cosa; questa luce però è scesa dall'alto per calarsi nella storia degli uomini. Non si è nascosta, ma si è mescolata in mezzo a tante ombre, si è insinuata nel basso della storia umana per ridare colore e vita ad ogni uomo. L'uomo è tanto abituato a vedere alta la luce che non riesce a riconoscere una luce caduta tanto in basso. Ecco dunque Giovanni come testimone della luce.

Io battezzo nell'acqua
Giovanni battezza nell'acqua del Giordano, luogo di passaggio dal deserto alla Terra promessa; il suo è un battesimo di conversione; un gesto semplice ed umile di chi sente il bisogno di lasciare nell'acqua le pesantezze della vita e delle relazioni, di chi si propone un nuovo ingresso nella Terra che Dio ha promesso iniziando una vita rinnovata.

«Tu, chi sei?» 
Il senso del gesto di Giovanni, stranamente, viene rivelato e reso evidente dalla domanda dei sacerdoti e leviti: «Tu, chi sei?».
Ogni uomo che inizia un percorso nuovo si pone la stessa domanda, ricerca se stesso e le proprie radici per ritrovare il senso profondo del proprio essere e del dipanare della vita.

«Perché dunque tu battezzi, se non sei il Cristo, né Elia, né il profeta?» Gli uomini di potere (i Giudei, i sacerdoti, i leviti) non riescono a leggere l'altro se non negli stessi termini di potere; anche il battezzare è letto come una sorta di potere sugli altri. Non è comprensibile alcun gesto, alcuna parola alcun fatto che nasca dal basso. Anche di Gesù si meravigliano perché insegna come uno che ha autorià e si domandano da dove venisse tale autorità.

A lui io non sono degno di slegare il laccio del sandalo 
Giovanni, invece, si presenta come meno di un servo.
Ecco la testimonianza alla luce. La luce vera, quella che è venuta per illuminare il mondo si è nascosta nel gesto umile del servo: di chi si china ai piedi del prossimo per lavarli.
Non è una luce abbagliante che si proietta dall'altro, ma una luce tenue che entra dentro il cuore dell'uomo, lo illumina e lo orienta: "Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i piedi a voi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri" (Gv 13,14).